Bergamo, venerdì 2 giugno 2017, tra le 2 e le 3 di notte.
È buio. In genere non ho paura del buio, ma stanotte è diverso.
Dormono tutti, ma non io. Mi giro e mi rigiro nel letto, so che devo addormentarmi.
Sono nella camerata dei Cicloidi, ci sono rumori tipo giungla vietnamita che non aiutano, se non riesci a prendere sonno.
E io già sento l’odore del Napalm, quello che volerà domani alla seconda prova del Trittico.
Tra poche ore ci sveglieremo, faremo colazione, e ci avvieremo verso il Velodromo di Dalmine, l’altare del sacrificio dal quale inizieremo quella sinfonia della distruzione chiamata Coppa Asteria.
Suona la sveglia. Mi alzo, brutto al mattino, come sempre.
Sotto le rovine del lenzuolo cerco le forze per alzarmi da una nottata agitata; il bagno è già occupato, cristo santo.
Saluto i Cicloidi, facciamo colazione sparando qualche cazzata di riscaldamento, butto un’occhio al bagno, che è di nuovo occupato: sotto assedio, tutti sanno che di salita ce ne sarà tanta, tutti cercano di alleggerire il carico. Un grande classico.
Indossiamo il completo cicloide, occhiali da Fonzie, borracce portafortuna della Popolare e siamo in strada.
Prima boccata di aria, tiro su caldo e umido: Bergamo come Saigon, penso. Sarà una battaglia.
Qualche curva in città, e poi un gran drittone per arrivare alla partenza.
Sportellate con qualche automobilista, offese dal finestrino, scambio di convenevoli.
Superiamo un signore attempato con una bici in titanio, che rilancia subito indispettito, panza in evidenza, polpaccio d’acciaio, maglia triathlon non so che.
Un Cicloide, da vero re della velocità, lo svernicia di cattiveria e noi tutti dietro, pancia a terra; pista nonno, passano i ranger, c’è un incendio da spengere, cazzate del genere.
La torre di raffreddamento della centrale di Homer annuncia il velodromo; ci sono ciclisti dappertutto, prendi quella porta, prato, gli amici del Trittico da tutte le parti. Formalità della partenza, girano birre, abbracci, cazzo c’è anche qualche ragazza hai visto?, il Cap si fa un sorso di vodka dalla bottiglia, cazzo c’è un Pro hai visto?, le foto di rito, cazzo ma quello è Chief hai visto? si parte? No asp che sistemo una cosa, oh partono via via!
Gruppo compatto, i primi 10 km si corrono in una città paradisiaca fatta di pianura e rotonde. Qui l’ingegnere stradale moderno ha espresso un pensiero geometrico e leggermente paranoico; si pedala, rotonda, si pedala, rotonda, macchina che ci sfancula, rotonda e via così.
Si chiacchiera, si scherza, allegria in gruppo, qualcuno fischietta Paolo Conte.
In realtà, più passano i km, più ci stiamo scavando la fossa.
Va comunque riconosciuta ai Pops la sensibilità di averci fatto scaldare le gambe per bene: dopo uno sterraccio da squarcio gomme, arrivano le prime salite. Pedalabili, si sale e si scende intorno a Bergamo, posti fantastici, risate, guarda quella che gambe! (seeeee, le gambe…).
Sotto il sole, però, il termometro inizia a salire: l’inferno non è un posto così cattivo dove stare, ma stiamo già maturando una abbronzatura tipo Pro alla Vuelta.
Anyway, la giornata è splendida, la compagnia di più.
Siamo ancora in gruppo compatto, che si allunga e contrae come un serpente nelle salite, le facce sono sempre quelle, e per ora odorano di spiriti adolescenziali.
Arriva il primo 4 stelle di giornata, Rizzolo del Pascolo; un sentiero di pavè che sale coperto dagli alberi, una vera libidine. Qualcuno geme, i più salgono come veri uomini d’acciaio.
In cima, una fontana con un getto dal quale è impossibile bere; ci provano in tanti, tipo estrazione di Excalibur, invano. Non troviamo un Re Artù e ripartiamo, a bocca asciutta.
Guardando il Garibaldi, notiamo che si sta preparando una tempesta di salite pluristellate, concentrate tra il km 34 ed il 54, dove ci attende il ristoro.
Tutto ad un tratto diventa chiaro a tutti che il percorso è stato concepito durante un sabba nero, invocando gli spiriti delle pendenze più malvagie, gli Zoncolan e gli Angliru, Pantani e Charlie Gaul.
Ci sentiamo come nella prima scena di Salvate il soldato Ryan, appena si abbasserà lo sportello voleranno pallottole.
L’Mg42 della situazione di chiama Casdinelli, il primo 5 stelle della serie, che inizia a sputarci addosso pendenze in doppia cifra senza pietà. Inizia a piovere sangue, in un attimo il gruppo esplode in mille pezzi, gente che sale a slalom, piedi a terra, prime invocazioni del maligno.
Si sale tipo Magni sul San Luca, per capirsi, con quell’agilità lì.
Casdinelli e Maresana sono separate da un tratto di falsopiano di non più di 4 metri, l’ideale per rifiatare, la curva canta “grazie ragazzi tum tum tum tum”.
Maresana è un 4 stelle (ma chi caxx le ha fatte ste valutazioni, oh?!?!?) , ma la musica non cambia: guerra lampo, lingue felpate, occhi pallati, temperature da altoforno, death metal per tutto il gruppo.
Il ricordo è come un sogno: come Tom Hanks su Omaha beach, vago in stato di shock, limitandomi a spingere in avanti la bici sotto un sole che manco a Lipari.
Finisce la Maresana (ancora non so dove), ma dopo tre metri netti di pianura è già Croce dei morti: una croce, un funerale elettrico consumato sui pedali, un angelo della morte, che come per incantesimo ha trasformato il mio 34-28 in un 53-11, dannata carogna mefistofelica!
Qualcuno dice “almeno siamo all’ombra”, sguardi da film western, mezzogiorno di fuoco lombardo.
Tanti si fermano, il gruppo è definitivamente esploso come la Morte Nera in tutti i finali di Star Wars, c’è chi parla ormai come Darth Fener, qualcuno come C1-P8.
Paura, empietà, disperazione, siamo in cima.
Ci si guarda in faccia, saremo in dieci.
Controllo se non ci sia un idrante rotto nei paraggi, ah no, siamo tutti noi che sudiamo senza pietà per i nostri poveri sali minerali che si stanno esaurendo: piscina a terra, ciambella e braccioli nell’attesa, manca il mojito.
Mentre siamo tutti lì a dire solo puff ppuff, pant pant, arriva su un signore di una certa età bello fresco, ha una Wilier ramata eroica con rapporto più agile 42-31, nemmeno una goccia di sudore in fronte.
Bah.
Nel frattempo è rientrato qualche amico, si riparte, corriamo liberi per le colline bergamasche.
Giusto il tempo di inziare un discorso sul fatto che Tommaso Del Mulino è un cagasotto che va a lagnarsi dalla De Stefano, che eccoti Via della Libertà, una autostrada per l’inferno progettata da qualche ingegnere folle che ha deciso che il miglior modo per salire la collina è andare dritto sulla linea di massima pendenza, che è tanta.
Grazie Mister, chiunque tu sia, spero che tu sia finito a portare le borracce dall’inferno al paradiso per l’eternità (Dante diceva c’era una salita da paura).
Benvenuti nella giungla, si sfiora il 20%, e la zuppa di salite HC già fatte inizia a farsi sentire nelle gambe. Intanto la situazione gruppo è da ritirata sul Brenta; chi si è perso, chi è indietro, chi davanti, chi chiama mamma con la faccia spaurita.
È una guerra baby, lo spettacolo deve continuare.
Per fortuna che il nostro plotone di Cicloidi viaggia compatto guidato abilmente dal Cap, che per altrettanta fortuna continua a spararci cazzate sulle salite che restano da fare, e quindi viaggiamo tipo Carmen Consoli, confusi e felici.
Tranquilli ragazzi, l’ultima salita e si arriva al ristoro, dice il nostro Virgilio.
Mio dolce bambino, questa strada porta a Lonno, nel Laos.
Un dannato serpente che sale su una collina con pendenze costanti in doppia cifra.
Hamburger hill, collina 726, full metal jacket, platoon, apocalypse now.
Per strada, scene da fotografie di Robert Capa; gente che sale a piedi, gente che spinge rapporti così duri che ti aspetti che caschino nel bosco da un momento all’altro, gente ferma da ore sotto un albero, probabilmente in stato confusionale. Al nostro passaggio, qualcuno inebetito accenna un flebile tifo, per poi spengersi nell’ombra delle fronde.
Saliamo in due, uno accanto all’altro, sudando sette camicie di Maurizio Costanzo.
In cima, ci accoglie un Popolare con occhiale da sole tipo Ponciarello e accento californiano che ci indica il ristoro che, PERLAPPUNTO, è piazzato in fondo a un muro. I più, sconfortati, lasciano la bici in cima e scendono a piedi. Personalmente, poco lucido, scelgo di parcheggiare il mezzo in fondo alla valletta, così per non lasciare niente di intentato.
Il ristoro è perfetto, ma girano anche alcolici tipo ad un addio al celibato, e quindi devi stare sempre all’erta per non beccarti più di uno – massimo due – zuccherini dal Cap.
Lo zuccherino del Cap è una specialità bergamasca (mi dicono) che consiste nell’immergere zollette di zucchero bianco nell’alcool puro; ricetta essenziale quanto efficace, da gestire con parsimonia in una giornata da 120 km e 3000 metri di dislivello a 35°c.
Girano Moretti ghiacciate, decisamente più friendly; butto giù una ampia sorsata, che libidine, mi ricorda il mare.
A un certo punto suona la campanella, ricreazione finita, si torna in classe: ripartenza con discesone vento-in-faccia, tornano le forze e l’ottimismo dopo km duri duri.
È una lunga strada verso la cima, se vuoi il rock & roll.
Ci sono subito due muri facili facili, ma al secondo andiamo dritti in tre al bivio; in fondo alla discesa squilla il telefono, è l’ammiraglia che ci dice che abbiamo sbagliato strada, c’è da risalire.
Meno male, un po’ di salita, che ci eravamo già stancati del mangia e bevi.
Siamo in Valpredina, km 74 di 104 totali.
Dai dai dai dai.
Il problema adesso è che il grosso del nostro gruppo è andato e siamo rimasti solo in cinque; 4 Cicloidi ed un ragazzo sano di mente, che si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Dobbiamo rientrare, è deciso.
Andiamo a tutta per qualche chilometro; di punto in bianco arriva Loreto (4 stellle, queste azzeccatissime), con il sole che ormai è una palla di fuoco, e noi tipo la Sky al giro dopo la caduta al Blockhaus, pancia a terra per riportare Geraint Thomas in gruppo.
Qualche avvisaglia di crampi, gestiti bene.
Dopo una decina di chilometri tutti sesso e violenza, alle porte di Bergamo rientriamo in gruppo, con facce da terza settimana del Giro.
Ci ricompattiamo tutti nei pressi di una fontana, che ci appare come un miraggio nel deserto.
La gente fa il bagno come fosse ad agosto in spiaggia, facce riprese, segni degli occhiali, sensazioni post rave, ma siamo tutti insieme, e questo è quello che conta.
Stavamo cadendo a pezzi, adesso giù cazzate e pacche sulle spalle.
Ricapitoliamo, quindi: all’appello manca Bergamo alta, ultima ora di corsa, un’eternità vista da qui.
La parola d’ordine quindi diventa: gestire (il crampo).
Con tutta l’esperienza che abbiamo in corpo saliamo la Boccola, che però scatena la bagarre, perchè è effettivamente molto libidinosa, e poi la vedi tutti gli anni in tv e quindi giù gassssssss.
Le gambe reagiscono ancora bene, ma manca l’ultimo 4 stelle di giornata, tale S.Vigilio.
Cap continua a raccontarci cazzate, e a questo giro fa davvero bene, perchè in cima alla Boccola siamo tutti un po’ cotti; ci dice che adesso si scende, invece 1 metro e siamo già tra le braccia di Vigilio.
Ora, questo Vigilio (che di cognome faceva The Hammer) è un muro costante e bellissimo, che mette tutto il gruppo in riga.
È tutto ciottolato, con un solo sentiero pavimentato in pietra largo non più di 30 cm. Ma da questo ci scendono i turisti a piedi, perchè sui ciottoli evidentemente si fanno male ai piedini.
Siamo talmente cotti che non abbiamo neanche la forza di mandarli a cacare, quindi saliamo, e saliamo, e saliamo, sui ciottolazzi che fanno traballare il cervello nella scatola cranica. Dietro di noi, qualche macchina che aspetta paziente, forse capisce il momento catartico, forse le nostre facce dicono tutto.
Lentamente ci decomponiamo fino alla fine, dove ci aspetta una fontana con l’acqua più buona del mondo, sembra chinotto da quanto è buona, cristo santo.
Beh Cap, adesso è finita davvero, no? Certo, c’è rimasto qualcosetta, ma roba da ragazzi.
La vista è meravigliosa, si vede tutta Bergamo bassa e lo sguardo si perde nella pianura davanti, mentre scendiamo per una discesa ciottolata.
Io lascio andare la bici, l’effetto è quello della Roubaix, perchè sti ciottoli sono proprio ciottoloni di fiume rotondi e lisci, forse non è proprio quello che ci vuole adesso, magari tiro un attimo il freno, ecco.
Tanto dura poco, perchè rimane l’ultimo vero muretto di giornata, la Ripa Pasqualina.
Con questo nome da conduttrice Mediaset di programmi per casalinghe nel pomeriggio, la Ripa è un bel muretto ciottolato con pendenze anche importanti. Breve ma intenso, esige il suo tributo di sangue. Qualcuno è caduto, oh tutto bene? Si, si, dai che siamo in fondo dai!
Ultimo strappo, S.Alessandro: qua e là donne da sogno e l’estate lombarda che impazza mentre noi, ormai glassati di sale tipo branzini, diamo l’ultimo colpo di pedale in salita di giornata.
Ah, che soddisfazione, è fatta (pensano gli ingenui).
Infatti, dopo 12 secondi di riposo, arriva il fatidico “dai ragazzi che passa il treno per arrivare al Velodromo”. Ciuf ciuf, baby, arriva il treno del rock & roll, è l’ora di soffrire.
Si perchè, dovete sapere che il finale di Coppa Asteria, come quasi tutti i finali del Trittico, viene vissuto tipo finale della Milano Sanremo.
Dopo una discesa a rotta di collo da uptown Bergamo verso downtown Bergamo, si prende la via secondaria per raggiungere il velodromo, un labirinto di asfalto tra gli stabilimenti che il gruppo affronta ai 45 km/h. Pianura, padellone, menare di brutto, tiro salvezza contro la morte.
Si sgomita per stare davanti, si rischia da matti (non si sa perché), presa bassa e via a tutta.
Una volata di 5 km, dai che ci siamo, tanti hanno mollato, vedo la centrale, siamo arrivati!
E d’un tratto appare il velodromo, qualcuno urla “bisogna passare da dietro”, caos all’incrocio, il Cap svolta sul marciapiede a 90° tipo Tron beccandosi i chitemmurt di chi gli stava dietro, ultimi 50 metri (avrebbe urlato Bisteccone con voce rauca), svolta a destra, siamo nel velodromo, qualcuno ci urla “merde!”, sono in pista….
Come alla Roubaix, ci troviamo a girare in quell’immenso catino del velodromo, il vento sulla faccia, la consapevolezza che ormai è tutto fatto per davvero.
Due minuti dopo, è già festa: siamo in zona arrivo, c’è un gruppo che suona dal vivo, si rivedono visi spariti da ore, “oh ma che fine hai fatto?”, storie di forature, muretti, salite.
Le birre sembrano acqua, mi vado a fare la doccia nei bagni del Velodromo che, come da tradizione, non vedono una goccia di candeggina dall’82’.
È finita ragazzi, risaliamo in superficie ed è tutto un abbraccio, un pat pat sulle spalle, un “volevo una birra”, fino a che anche il sole non tramonta su questa splendida giornata.
La festa va avanti, piano piano rimangono solo i Pops, ubriachi e molesti come da tradizione, una tv gracchia qualcosa, mi affaccio: la Juve perde 4 a 1 in finale di Champions.
Che giornata ragazzi, il Real è anche vestito di viola.
Grazie a tutti ragazzi, è stato bellissimo, vi vogliamo bene a voi Pops, a tutti gli altri che hanno pedalato, ai muri, alle salite, a Lonno, al caldo, a Trevisan, al signore calabrese che non finisce più di regalarci costine e birre e patatine senza un perché, alle uniche due donne che si sono smazzate sto massacro.
Vi aspettiamo tutti a Firenze a ottobre.
(Tranquilli, abbiamo stretto un patto di non belligeranza col Presidente dei Pops, niente rilancio sul dislivello…)
P.S. Vi piace il Trittico? Sicuramente si, sennò non stareste qui a leggere. Allora sentite questa: nel testo abbiamo nascosto i titoli (tradotti in italiano) di varie canzoni dell’unico genere musicale che può fare da colonna sonora alla Coppa Asteria, ovvero il metallo pesante, che è poi anche il genere preferito da quei ragazzacci della Popolare . Chi ne azzecca di più (titolo in lingua originale e nome del gruppo), si becca una cassa di birra alla Muretti Madness, sempre a patto che finisca il percorso, siamo intesi!
Photos by: @brokenp87, @bikescapes, @micheleaquila.
Complimenti per il resoconto della passione sulle salite da sgambatella pomeridiana
Ci vediamo ad ottobre a firenze