Una sola cosa allora volevo: tornare in Africa. Non l’avevo ancora lasciata, ma ogni volta che mi svegliavo, di notte, tendevo l’orecchio, pervaso di nostalgia ~ Ernest Hemingway
È un po’ come lottare con un gorilla. Non lasci quando sei stanco, lasci quando si stanca il gorilla ~ Fausto Coppi
La Paris-Roubaix, quando l’hai provata una volta, non riesci a smettere. Il pavé che ti ha scosso e rimescolato una volta ti rimane dentro, ed è il “Mal di Roubaix”.
Dopo la prima esperienza nel 2015 al Paris Roubaix Challenge, quest’anno una nuova piccola rappresentanza dei Cicloidi approfitta di una nuova spedizione, capitanata da Giò Pirotta/Mr. MVV e con la partecipazione di alcuni Pops, per cimentarsi non già nuovamente con il Challenge, ma addirittura con il medesimo percorso dei professionisti: partenza da Compiègne per arrivare dopo circa 90 km a Busigny, e da lì seguire il rimanente percorso, che coincide con il percorso lungo (172 km) del Challenge: totale 265 km circa.
#roadtoroubaix
Partita giovedì 5 Aprile ben prima dell’alba da Inzago, l’eterogenea pattuglia giunge a Roubaix nel tardo pomeriggio, accolta da un bel cielo azzurro primaverile e da un padrone di casa che porta in dono il giornale locale con 8 pagine interamente dedicate alla corsa, ai suoi settori di pavé ed ai suoi rischi – a quale pressione gonfiare le gomme, come nastrare la piega, come sopravvivere alle vibrazioni del pavé, e amenità varie; ma anche una bottiglia di birra artigianale locale, grazie alla quale i quattro ardimentosi, dopo aver scaricato bici e bagagli e dopo una buona cena rifocillante nel centro di Lille, entrano nel mondo dei sogni.
#recon #roadtocompiegne
Venerdì 6 Aprile, prima giornata campale in bici: al mattino, la ricognizione al Carrefour de l’Arbre, 2,1 km di blocchi di pavé messi un po’ come capita, non è delle migliori: un Cicloide rompe un raggio, un Pop rilancia e rompe direttamente il telaio. Bienvenue à l’enfer.
Dopo un kebab ristoratore, alle 14 ritiro dei pettorali al Vélodrome (è stato ritenuto necessario per prudenza iscriversi comunque al Challenge), e pedalata fino alla stazione di Lille lungo una invidiabile ciclabile di 15km per prendere il treno e raggiungere Compiègne.
Ad Amiens, in attesa della coincidenza, si approfitta per raggiungere la Vélo Station per riparazione raggio: il gentilissimo ed espertissimo Monsieur Laurent in 15 minuti cambia il raggio rotto e ricentra la ruota alla perfezione (e dopo 265 e passa km di cui 53 di pavé, la ruota non ha più fatto una piega!).
Giunti infine a Compiègne, scopriamo che nel nostro stesso hotel alloggiano anche alcuni belgi, determinati a partire alle 4 del mattino, e la cosa ci consola: non siamo i soli ad aver avuto questa idea malsana (e non sono stati i soli, i belgi, che abbiamo ripreso lungo i primi 90 km, al mattino dopo)!
Dopo una cena à la français in hotel ed una notte molto corta ed inquieta, con coprifuoco alle 23 e sveglia puntata alle 3:30, preparazione, vestizione, recupero delle bici e poco prima delle 5 viene data la partenza.
#parisroubaix #primi90km
Sabato 7 Aprile la nostra Paris-Roubaix inizia al buio, nelle strade di Compiègne deserte ed illuminate dai lampioni, la temperatura indefinibile per la termoregolazione alterata dallo scarso riposo e dalla tanta adrenalina; ben presto le vie urbane illuminate lasciano il posto a strade buie lunghissime e dritte, spesso in vago falso piano, che attraversano prima boschi, poi tanti piccoli villaggi che sembrano l’uno la copia dell’altro, e innumerevoli rotonde e lunghi saliscendi; tutti insieme, e ognuno perso nei propri pensieri, quelli strani, sospesi tra il sonno e la veglia; al primo chiarore, passando in uno di quei piccoli villaggi, una sosta estemporanea alla vista dell’insegna luminosa di una patisserie-boulangerie aperta: croissants e pains au chocolat appena sfornati, e poco dopo la ripartenza anche il sorgere del sole aggiunge il suo effetto corroborante. Siamo ormai sveglissimi e infine lucidi. Un ultimo tratto di alcune decine di km, e alle 8:30 circa arriviamo a Busigny, per la partenza ufficiale del Paris-Roubaix Challenge da 172km.
Ci rifocilliamo con café e goffres, incontro e presentazione cerimoniosa tanto casuale quanto surreale con il sindaco e la moglie del sindaco del piccolo paesotto, che esprimono il desiderio di visitare l’Italia, dove non sono mai stati, e che ci augurano bonne chance, e si riparte, in una giornata tersa e luminosa.
#parisroubaix #videogame
Dopo 12 km incontriamo il primo dei 29 settori di pavé: l’arrembaggio è di quelli memorabili, camere d’aria e borracce ovunque, ci sono camper e persone (bambini, adulti, anziani) lungo tutto il tratto (e lungo tutti i tratti seguenti: una festa!) che incitano e applaudono con entusiasmo al passaggio dei ciclisti e, complice forse anche la lieve pendenza negativa, tornati sull’asfalto ci sentiamo tutti dei leoni; poi però già nei due o tre settori successivi il pavé ci ridimensiona con fermezza, ma senza troppa cattiveria: c’è ancora tempo per darci la lezione, e il gorilla non ha fretta.
Sarà infatti la foresta di Arenberg il vero spartiacque. Ci si arriva con un rettilineo in discesa, lungo il quale le persone assiepate diventano sempre di più; i primi 500 metri sono chiusi al passaggio, poiché sono stati sistemati per il giorno dei pro e probabilmente non si vuole rischiare di rovinarli… Ma capiamo subito che “rovinare” qualcosa come il pavé di Arenberg è un controsenso: i pavé è nero di licheni, completamente irregolare, e ti respinge, ti frena, “dove credi di andare?”, sembra dotato di una forza propria che si oppone e respinge qualsiasi cosa ci capiti sopra, non importa cosa tu faccia; qui realizzi che devi prendere assolutamente provvedimenti per arrivare in fondo, e alcuni di noi cominciano a manifestare le prime piaghe sui palmi delle mani.
Le mani in presa alta hanno ormai smesso di essere rilassate e, in balìa dei colpi della piega sulle dita, cominciano a stringere, ché almeno le dita patiscono un po’ meno… Ma in compenso cominciano a patire i polsi! Allora decidi di spostare le mani in presa bassa, dove i polsi trovano un po’ di sollievo… Ma così patiscono le spalle!
Il continuo alternarsi di settori in pavé e di tratti asfaltati dà la sensazione dei livelli di un videogame, in cui non fai in tempo a gioire per averne terminato uno che già inizia il successivo.
Ogni tratto di asfalto tra un settore e l’altro viene sfruttato per recuperare la funzionalità delle mani, ma hai progressivamente la netta impressione che il tratto d’asfalto sia sempre più corto del precedente.
Si prendono altri provvedimenti, sempre più radicali e disperati: alla fine di ogni settore cominciamo a sgonfiare le coperture via via fino a pressioni invereconde, e questa scelta, l’unica veramente efficace, pur fatta tardi ha permesso a chi aveva tubolari, tubeless o comunque coperture di ampia sezione, di sopravvivere agli ultimi settori; naturalmente chi aveva camere d’aria e sezioni “normali” ed ha fatto la stessa cosa ha pagato con più di una pizzicatura.
Infine cerotti e fasciature per medicare le stimmate ai palmi delle mani, e via.
Il tempo sta passando veloce, i tre ristori previsti sono stati uno dopo l’altro assaltati all’arma bianca, rifocillandosi per quanto possibile e prendendosi qualche momento di recupero, poi via si riparte e ricomincia il videogame, finché siamo quasi alla fine: si dà fondo alle ultime energie, e arriviamo all’agognato Vélodrome alle 18:09.
#aurevoirlesgars
… Ma con 9 minuti di ritardo non ci viene autorizzato il giro finale…!
Istintiva e istantanea delusione e urto polemico, ma ci hanno messo delle medaglie al collo, siamo circondati da tantissime persone che, come noi, hanno compiuto l’impresa e festeggiano, nonostante la stanchezza… E allora ci guardiamo tutti per un attimo… Ma chi se ne frega del giro nel Vélodrome, lo faremo l’anno prossimo!
Adesso è solo il momento di stringersi le mani doloranti e di abbracciarsi, la corsa è stata lunga, la più lunga!, e l’abbiamo conclusa tutti, abbiamo dolore ovunque tranne che, strano a dirsi, alle gambe, ed è stata un’esperienza così intensa, emozionante, divertente, che la fatica per un po’ ce la scordiamo, e ci godiamo solo quell’allegria adrenalinica ma pacificata: sappiamo solo sorridere, ridere e guardarci in faccia quasi increduli, e sicuramente soddisfatti.
Alla fine il gorilla si è stancato, noi stiamo tutti bene, e con la maledizione del Mal di Roubaix addosso.
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