Potrebbe essere il titolo dell’ultimo album di un gruppo indie rock che si scioglie dopo 10 anni di onorata carriera. Tra alti e bassi. Esaltazioni e scazzi. Slanci e frenate. Rosei futuri e baratri infernali. Se si trattasse dell’album di una band, questa band avrebbe mantenuto quasi sempre la formazione originaria, con qualche membro che lascia e altri che arrivano durante il percorso. Se questa band si chiamasse Muretti Madness, avrebbe iniziato con un demo tape, registrato alla buona su un quattro tracce sgangherato consegnato a un piccolo gruppo di primi ascoltatori. Poi dopo i primi due album in sordina arriva il botto. Il tour, i fan, il successo. E poi arrivano i cazzi.

Il primo fu il covid. Risolto in maniera più o meno dignitosa. Ma poi arrivano i dubbi, le domande sul futuro. Dove vogliamo andare? Vogliamo veramente essere sempre indipendenti, produrre e distribuire i dischi in casa oppure vogliamo andare con una major? Riceviamo offerte, siamo corteggiati dalla stampa, dagli sponsor. Siamo sicuri che non faremo alcuna fatica a trovare un discografico che ci accolga a braccia aperte. Ma la musica che suoniamo in realtà è inclassificabile, non può rientrare in nessuno schema dell’industria discografica. Non abbiamo scelta, o continuiamo a registrare, distribuire i nostri dischi in autonomia, a organizzare i tour in un pulmino sgangherato, a stampare le magliette in uno scantinato, oppure la cosa non funzionerebbe. Andiamo avanti così. Vaffanculo alle major.

Arriviamo al 2022. Si tratta del nono anno di attività della band. Abbiamo in canna un nuovo disco e un nuovo tour. Ma ormai siamo troppo in alto per continuare a suonare come dei cazzoni in giro. Il grande pubblico vuole vederci suonare, non possiamo continuare a fare concerti per quattro gatti dentro dei localacci di merda. La baracca non sta più in piedi. Dobbiamo mettere la testa a posto, ingrandirci. Ma non possiamo farlo se non scendiamo a patti con l’industria discografica. Abbiamo per forza bisogno di una major. Non ce la faremo mai a organizzarci i tour da soli, registrare i dischi, vendere i biglietti, i gadget, stare dietro alla comunicazione, alla SIAE, agli avvocati. E così implodiamo. Annunciamo in lungo e in largo che ci saremmo sciolti. Ma poi una notte, una di quelle notti in cui nessun membro della band riusciva a dormire, assillati da dubbi e rimorsi. Ci siamo detti ma vaffanculo a tutti. Chiamiamo la stampa, facciamo l’ultimo concerto, chi c’è c’è.

Dopo quella data le energie erano di nuovo in circolo. Kg di endorfine da vendere ci avevano di nuovo esaltato. Eravamo sicuri. Cazzo si, andiamo con una major. Tutto questo non può finire così. Se l’alternativa è chiudere baracca, tanto vale vendere i nostri culi e tenere in piedi la band. Più facile a dirsi che a farsi. Le nostre teste, le nostre canzoni, gli album, la nostra storia, non ce la facevano ad essere imbrigliati dentro i tempi, le maglie e i dettami dell’industria discografica. Dopo qualche mese di grandi esaltazioni mandiamo di nuovo tutto a gambe all’aria. Vaffanculo Muretti Madness. Ci sciogliamo. Questa volta per davvero. Non ci vedrete più suonare. È finita. Vi lasciamo 9 album che raccontano la storia del ciclismo indipendente. Potete ascoltarli finché vi andrà e se volete, trovatevi per celebrarli come e quando vi pare. Ci si vede sui muri.

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